In un mondo in cui più che lettere e numeri, si usano hashtag ed emoticon, vorrei soffermarmi su un simbolo che ritroviamo sin dagli albori del mondo: l’albero della vita.La scusa è un’opera da poco ultimata realizzata a Lione, città ormai al centro di dispute e litigi per la TAV, ma che in questo caso sta cercando di integrare, di fondere, di unire, di pacificare.
L’IFCM (Institute Francais de Civilisation Musulmanes) di Lione nasce dalla volontà delle autorità francesi di creare una migliore e più profonda conoscenza delle culture dei paesi islamici. L’edificio dell’Istituto, non ancora inaugurato ufficialmente, ma già in funzione con eventi vari è situato a pochi passi dalla moschea.
Una storia antica quella dell’IFCM e di Lione, città con più di 2000 anni di storia, fondata nel 43 a. C., e dal 1998 riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nata, tra due fiumi e due colline, nota per la sua ottima gastronomia, ma anche per essere stata il centro dell’industria tessile sin dall’800, con le sue seterie. I famosi “canuts” così venivano chiamati i setaioli, erano l’anima e il motore commerciale e sociale di Lione.
Proprio in questa città fatta di palazzi nobiliari, scale, vicoli e fabbriche nasce negli anni ‘80 l’esigenza di includere, di confrontarsi e così parte il progetto per realizzare un grande luogo di incontro, un programma ambizioso per meglio conoscere l’Islam e permettere la comprensione delle sue origini e delle sue diversità. Nel realizzare l’Istituto l’approccio è stato contemporaneo e interculturale: arte, musica, architettura, letteratura, cinema, lingue e gastronomia. Includendo tutte le pluralità dell’Islam contemporaneo, tutti i paesi da quelli del Maghreb a quelli del Medioriente passando per quelli dell’Africa sino all’Asia.
E così nel gennaio del 2017, l’IFCM ha invitato vari artisti a presentare proposte per caratterizzare e decorare le varie sale del nuovo edificio.
Tra le opere presentate e scelte, una arriva dall’Iran, un progetto dell’architetto Kamran Afshar Naderi e della ceramista e calligrafa Leila Farzaneh, un “Albero della Vita” per la sala principale.
Kamran, è un architetto iraniano con accento genovese, che da anni incarna l’Iran e l’Italia. Leila è un’artista che ha saputo coniugare la grande e antica tradizione delle ceramiche iraniane con l’innovazione. Dalla loro collaborazione è nata un’opera straordinaria, alta 9.20 metri e larga 3.45 metri composta da ben 3500 piastrelle di ceramica dipinte a mano di diverse forme geometriche e 360 piramidi irregolari, realizzate in specchi di acciaio inox e per completare migliaia di altri pezzi di ceramica sempre dipinti a mano: l’Albero della Vita.
Un impatto incredibile di colori e giochi di luce, l’acciaio delle piramidi riflette il turchese delle piastrelle, regalandogli tutte le sfumature del colore come accade per la pietra più famosa dell’Iran, il turchese di Nishapur, ma quando su di esse, al tramonto , arriva la luce del sole da argento diventano oro.
Uno spettacolo suggestivo ed evocativo dei giochi di luce e specchi dei Palazzi della Grande Persia, il passato che incontra il contemporaneo, senza perdere il fascino e la bellezza.
Per i due ideatori dell’opera: ”l’albero invecchia, ma regala semi che contengono la stessa essenza e rinascono, regalando così l’immortalità.” E’ lo stesso albero della vita, che in tutte le religioni e per tutte le grandi civiltà ha rappresentato un simbolo di nuovo inizio, di energia positiva e di un futuro luminoso perché legato alla crescita e alla linfa vitale, il vero tramite tra la terra e il cielo, tra il terreno e il divino.
Dall’Iran alla Cina, dall’India alla Mesopotamia, in tutto il Medioriente, ovunque l’albero della vita è presente e indica qualcosa, rappresenta lo sforzo di trovare un terreno comune tra diverse fedi e credenze. Nell’antichità era l’elemento capace di collegare le tre parti principali che costituiscono l’universo:
Anche durante il periodo islamico, l’albero non perde la sua importanza, il paradiso per l’Islam è descritto come un giardino lussureggiante, un Eden ricco di alberi e di vegetazione. Proprio nel Corano si recita “Una buona parola è come un buon albero, la cui radice è profonda e i cui rami si stendono verso il cielo”.
Nell’Antica Persia prima, nell’Iran poi, l’iconografia dell’albero diventa un elemento molto presente anche nel manufatto più importante: il tappeto. I tappeti persiani, in particolare in quelli definiti “a giardino”, l’albero è un elemento molto rappresentato, naturalmente con stili e fogge diverse a secondo della provenienza, delle epoche e della tipologia di lavorazione.
Quei giardini persiani, da cui traggono ispirazione i grandi giardini dei Palazzi reali europei, la cui prima testimonianza arriva dalla regione del Fars, vicino l’odierna Shiraz, nel sito archeologico di Pasargade, all’epoca di Ciro il Grande.
In tutte le antiche e raffinate arti, di questa parte di mondo compare l’albero, dalla calligrafia agli argenti, dalle sete alle ceramiche.
Senza escludere la letteratura e la poesia, in cui gli alberi e i giardini hanno simbologie e metafore diverse, dal famoso poeta Rumi sino ad arrivare a Forough Farrokhzad, poetessa, regista, scrittrice di grande intensità.
Tuttora nell’Iran contemporaneo, che conta ben 9 giardini patrimonio dell’UNESCO, nella sua caotica capitale Teheran un albero vale all’incirca 1000 dollari, questa è la cifra da pagare per poterlo tagliare e non è difficile imbattersi in strade dove gli alberi vengono lasciati, curiosamente, al centro delle strade in posizioni assai singolari pur di preservarli.
Non stupisce che un albero della vita creato da un progetto a quattro mani da
due artisti iraniani abbia conquistato lo spazio più prestigioso di un luogo simbolo di Lione. Un messaggio antico, un modo per unire attraverso le radici comuni, il terreno fertile dove tutti possono trovare spazio e lasciar crescere i propri semi, convivendo nello stesso giardino.
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