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Lib-dem, il centro che c’è e che non c’è

Viaggio nel Pronto Soccorso dei partiti politici italiani/4

L’esistenza del PD e di Forza Italia, nello schema di costruzione di ampie alleanze bilaterali per una sorta di democrazia dell’alternanza di stampo anglo-americano, ha nel corso della seconda Repubblica trasformato il “centro” in un luogo equivoco.

Pierferdinando Casini lo chiamava “il grande lago”.

Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 6.7.2021) ha scritto che “quando si chiuderà la parentesi del governo Draghi, la polarizzazione destra/sinistra tornerà a dispiegarsi senza più ostacoli e il centro resterà vuoto, inesistente”. Lo stesso Panebianco però considera “di centro” questo governo Draghi. Ma, reputando meteore i governi di emergenza, ritiene che il “grande lago” presto si prosciugherà. E tuttavia poi valuta anche un’altra ipotesi, cioè che il governo Draghi abbia un tale successo da rendere possibile la riabilitazione del centrismo politico in Italia (reputando che la soglia del 15% lo renderebbe quello che una volta era il PSI, tra PCI e DC, cioè il cosiddetto ago della bilancia). 

Come si vede la situazione di cornice non è oggi – senza disporre ancora nemmeno delle indicazioni certe delle amministrative – seriamente profilabile. Così che non possiamo prendere in considerazione l’area politica cosiddetta liberal-democratica in base alle potenzialità di sistema, ma solo in base alle capacità di sviluppo politico-culturale dei suoi protagonisti.

Inutile mettere troppi steccati alla delimitazione di un’area magmatica, mobile e con caratteri ancora sperimentali.

Nella sua componente di “sinistra” sventolano (con andirivieni di circostanza) le bandiere socialiste e repubblicane del vecchio centrosinistra, con una minuscola rappresentanza parlamentare, che Riccardo Nencini ha tuttavia scritto in grassetto grazie al patto tecnico-parlamentare (e anche toscaneggiante) con Italia Viva.

Così come formazioni di ispirazione post-democristiana, che hanno preferito l’autonomia dei piccoli margini rispetto alla confluenza nel PD o in Forza Italia, abitano, con radici nel passato, la parte opposta. Un po’ più presenti in Parlamento, ma incrementando anche la loro inclinazione alle scorribande tra centrodestra e centrosinistra (come si è visto nel caso del “rastrellamento” fallito a favore del Conte III promosso da Bruno Tabacci).

Ex-novo si collocano invece quattro formazioni con tratti comuni e tratti ancora differenziati. Più Europa (Bonino, Della Vedova, Magi); Italia Viva (Renzi, Giachetti, Bellanova e altri); Azione (Calenda, Richetti e un comitato promotore con aperture civiche) e Base Italia, progetto ancora non pienamente espresso ma sostenuto da un reputato leader sindacale come Marco Bentivogli (già FIM- CISL) con l’appoggio in partenza di Carlo Cottarelli e Luciano Floridi e con un progetto di politiche industriali e del lavoro scritto a quattro mani con Carlo Calenda. 

Le previsioni demoscopiche di questo lotto di una decina di nuclei separati oscillano complessivamente tra l’8 e il 10%. Ma il consolidamento di gruppo non è un progetto dichiarato, così da lasciare inespresso un 5% che gli stessi sondaggisti considerano prevedibile a fronte dell’effetto di un vero progetto coordinato unitario.

Pur conoscendo bene le scintille che si esprimono nel dialogo tra civici territoriali e partiti dichiarati, in questo quadro va  fatto anche cenno all’esperienza della Alleanza civica-Riformisti che – per il grande lavoro espresso da Franco D’Alfonso, su originaria idea di Emilio Genovesi (prematuramente scomparso) e in costante dialogo valoriale con Piero Bassetti –  si è rivelata in grado di superare proprio il limite localistico e di connettersi con proposte elettorali a Torino, Milano, Savona, Bologna e Napoli. Spesso contando anche su figure formate politicamente nel sistema dei partiti ma ormai con storie diventate soprattutto poco compatibili con l’autoreferenzialità del PD.

La mappa

Idealmente Italia Viva si richiama al progetto politico interpretato dalla Margherita, in origine tra il 1998 e il 2000, poi proseguito come progetto elettorale nel biennio successivo e diventando nel 2002 forma partito nel quadro dell’Ulivo, con la guida di Francesco Rutelli e con figure rilevanti della politica italiana, da Franceschini a E. Letta, da Gentiloni a Fioroni, da Parisi a D’Antoni, da Linda Lanzillotta a Rosa Russo Iervolino, mascotte della squadra l’allora presidente della provincia di Firenze Matteo Renzi che ne eredita, stando nel PD dal 2006, tanto la forza contrattuale quanto quella conflittuale. 

Più Europa è figlia di aggregazioni e scissioni attorno alla leadership di Emma Bonino, radicale con alte esperienze istituzionali italiane ed europee, in questo senso con evoluzione diversa da Marco Pannella e diversa da quella parte del vecchio Partito Radicale (Turco, Bernardini, D’Elia) che ha scelto una diversa opzione più movimentista e legata alle associazioni di scopo. In Più Europa la componente in senso stretto radicale (Riccardo Magi) ha confermato la saldatura con gli ex-radicali europeisti di Benedetto Della Vedova, una volta determinatasi sia la fuoriuscita di Centro Democratico (Tabacci) sia la sconfitta precongressuale di una parte residuale di Scelta Civica e di Forza Europa (Falasca, Palma). Il progetto di aprirsi ad una vera federazione di soggetti liberal-progressisti, sostenuta in origine da Gianfranco Spadaccia, non è ancora decollato a causa di tensioni maturate in queste difficili transizioni e resta ora affidato alla capacità di tessitura di Benedetto Della Vedova, la cui chiamata al governo con Draghi (agli Esteri) rafforza l’originalità dell’idea europeista. 

Azione è un nome mutuato da una conversazione di Carlo Calenda con Ruggero Manciati, esponente di un gruppo post-azionista che gli magnificava questa radice valoriale per fare politica oggi, che ora lo stesso Calenda cita con riferimento corretto ai fratelli Rosselli (quindi alla componente liberal-socialista) e poi con riferimenti più fantasiosi a don Sturzo (per comprendere nello sguardo al passato anche il suo vice ex dc Matteo Richetti). Azione, comunque, è una forza pensata, trainata e sostenuta dalla vivacità dell’ex-ministro Calenda, che ha il suo punto di forza nel sostenere la priorità della relazione tra competenza e gestione. Ma che ora appare appeso al risultato delle amministrative a Roma, che sarebbe positivo anche se non vincente ma decisivo per le sorti al ballottaggio della candidatura Gualtieri. Un esito che potrebbe sciogliere la sua attuale difficile amalgamabilità (malgrado continue profferte di assorbimento delle altre componenti dell’area) e che potrebbe mettere il suo potenziale narrativo e di comunicazione in una causa più ampia del suo upgrading personale.

Base Italia racconta che “la crisi che il nostro paese sta attraversando non è solo economica: è anche civile, sociale e morale”. A sua volta conta sulla reputazione e la dialettica argomentata del suo leader che sta macinando, con sguardo prioritario al mondo del lavoro, proposte approfondite in campo economico rispetto a una certa prudenza di strategia politica. E la parola non è detta a caso quando, nella sua dialettica strategica con il leader della CGIL Landini, Bentivogli ricorre a citazioni audaci, come quella degli ultimi giorni a proposito del green pass: “Longanesi diceva che l’Italia è un Paese dove tutti sono estremisti, per prudenza. È sempre più vero, ma non bisogna esagerare” (Repubblica, 10.8.2021).

Un mosaico ricomponibile?

Senza dilungarci ulteriormente nelle descrizioni di questo mosaico di tessere separate e non ancora evolute ad affresco nitido e unitario, lo spazio di cantiere che fin qui è apparso con toni forse più ottimistici rispetto agli sguardi sospettosi che si sono incrociati da oltre un anno i citati leader, è ora incorniciato da quesiti che tendono a capire se il Prontosoccorso che anche ai soggetti citati viene riservato virtualmente dal governo Draghi porterà a guarigioni o a peggioramenti.

La formulazione dei quesiti è ricavata da colloqui frequenti con alcuni dei soggetti in campo.

  1. Sarà utilizzato seriamente il tempo di sospensione ancora previsto per compiere il miracolo di una ricomposizione generale capace di risultare più meditata nel richiamo alle radici e più scientifica nell’esplicitazione della visione?
  2. Sarà tale ricomposizione – nell’eventualità di un decorso positivo – costituita attorno al conferimento reale di una parte delle piccole separate sovranità ad un piano di ben congegnati equilibri? Oppure sarà un esito diciamo “di facciata” che esprimerà quindi una governance frammentata? Oppure ancora sarà necessario ricorrere ad un federatore per ora non individuato?
  3. Eserciterà lo stesso Mario Draghi – per quel posizionamento accennato citando Angelo Panebianco, di oggettiva identificazione del baricentro del governo con questa area – una anche indiretta promozione delle condizioni aggregative, pur indipendentemente dalle sue implicazioni personali?

Il lettore a questo punto tamburella con un pizzico di fastidio e rigira i quesiti all’autore con il sottinteso che lui, il lettore, non è pagato per levare le castagne dal fuoco da dissertazioni senza vie di uscita.

Così che l’autore – che su questo argomento potrebbe serenamente scrivere risposte con l’inchiostro nero, ma anche con pari sicumera con l’inchiostro rosso – si salva con altri tre pensieri brevi a mo’ di spunti conclusivi.

  1. Il cantiere descritto esprime un’ipotesi tripolare del sistema politico italiano. La qualità di questa ipotesi dipende dal fatto (per ora non accertabile) che la tripolarità serve solo se migliora tutti i tre gli ambiti della politica rappresentata, non quando aumenta poltroncine e risse.
  2. La storia del governo Draghi meriterebbe di avere un titolo non gravato dai maldipancia dei tre partiti che hanno dato vita ai precedenti governi degli ultimi anni (M5S, Lega e PD) generando vicende che riducano l’opportunismo rispetto alle opportunità della politica italiana nel suo insieme.
  3. Sarebbe importante che la “svolta” archiviasse l’insensata contrapposizione tra passato e nuovismo – una vicenda maldestra degli ultimi 25 di vita politica italiana – aumentando lo spessore di un’area e del suo sistema di relazioni capace di rifarsi senza imbarazzi e manipolazioni alla lunga tradizione di democrazia e libertà dell’Italia dall’unità in poi.

I tre spunti offrono a chi scrive argomenti abbastanza soddisfacenti. Ma tra chi scrive e chi legge già ci sono già naturali distanze, per non parlare delle comuni distanze con chi decide, che potrebbero rivelarsi senza limite. 


I precedenti articoli

Viaggio nel Pronto Soccorso dei partiti politici italiani – di Stefano Rolando

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Stefano Rolando

Stefano Rolando è nato a Milano nel 1948, dove si è laureato in Scienze Politiche e specializzato alla Scuola di direzione aziendale della Bocconi. Tra vita e lavoro si è da sempre articolato tra Milano e Roma. E' professore universitario, di ruolo dal 2001 all’Università IULM di Milano dopo essere stato dirigente alla Rai e all'Olivetti; direttore generale dell'Istituto Luce, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio Regionale della Lombardia. Insegna Comunicazione pubblica e politica e Public Branding. Ha scritto molti libri sia su media e comunicazione che di storia, politica e questioni identitarie. Da giovanissimo è stato segretario dei giovani repubblicani a Milano, poi ha partecipato al nuovo corso socialista tra anni settanta e ottanta. Poi a lungo non appartenente. Più di recente ha lavorato sul civismo progressista (Milano e Lombardia) e su un progetto politico post-azionista in relazione al quale è parte della direzione nazionale di Più Europa.

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