A conferimento annunciato del ruolo di capo di governo a Giuseppe Conte, breve bilancio della giornata sorretta da una brillante maratona interpretativa guidata sulla 7 da Enrico Mentana (con altre reti tv parimenti impegnate).
Allora, non si fa il “governo di svolta”, per come essa era stata intesa, ma per il momento si fa il “governo di necessità”.
Ovvero il governo è di necessità per togliere dalla sala macchine Salvini; ma potrebbe rivelarsi di svolta se per caso funzionasse la sperimentazione (prima volta in Europa, come osserva il direttore della Stampa Molinari) di un patto tra una forza di tradizione e una nuova forza populista.
La rete è una memoria permanente. Ed è certo che intanto le giravolte di quasi tutti gli attori in scena non resteranno silenti. Quanto alla modalità dei 5S di utilizzare la piattaforma Rousseau stridono molte cose, formali e sostanziali (su 100 mila iscritti, il picco di partecipazione fu al 50% per la questione Diciotti con una curva discendente ora ridotta a 25 mila voti, irrilevanti per le questioni in gioco).
Beppe Grillo è riuscito a imporre il nome del capo del governo e dichiara, per smorzare le critiche di poltronismo, che vuole un governo di super-esperti, parrebbe rimandando con ciò a scuola Luigi Di Maio.
Giuseppe Conte è riuscito in tempo breve a fare del suo nome non il simbolo di un fallimento ma il simbolo di un cantiere di possibile rigenerazione di due cose a rischio: la democrazia parlamentare e l’europeizzazione dell’Italia. Per lui è un successo. A tempo.
Matteo Salvini, lo sconfitto, è il primo amplificatore del tema del “governo di necessità”, spiegandolo come “il collante” del Conte bis: mettere fuori gioco la Lega e lo stesso Salvini. Per lui potrebbe anche essere un investimento.
5 Stelle ferma una sorta di evaporazione o di dissanguamento, provando un copione (tutto da scrivere, tutto da dimostrare) sulla “fase adulta” del movimento. Strappi, difficoltà, malumori. Ma forse scelta obbligata resa possibile dall’endorsement di Grillo (e, spiace un po’ dirlo, anche di Trump). Si vedrà come gestirà la proposta di digiuno purificatorio fatta dall’Elevato.
Il PD limita al momento al no di Calenda (che dice certamente alcune verità) le convulsioni interne. Tenta di mettere in evidenza agli italiani che per alcuni ambiti che stanno a cuore ai cittadini si stanno scaldando figure competenti. Anche qui c’è un copione per nulla scontato da scrivere per il dopo. Il match interno (che riguarda il rapporto tra il partito e l’attuale maggioranza parlamentare che fa riferimento a Renzi promotore della soluzione della crisi) è solo rinviato.
A Berlusconi non resta che puntare a breve sulle alleanze vincenti alle regionali. Il centro-destra che pareva un’ipotesi irresistibile resta alle prese con due temi scomposti: la reale leadership e quindi la natura delle priorità.
Circa il governo si capirà in pochi giorni se si ripete il format “a due” (più governabile) o se – per garantirsi meglio il voto al Senato e sparigliare rispetto al Conte 1 – si offrirà (auspicabilmente) una piattaforma ad una alleanza anche con partiti minori. Anche nello sforzo di favorire – vincendo un certo attuale astensionismo o orientandolo a un progetto comunque costruttivo – la costruzione dell’area liberaldemocratica e ambientalista, che aiuterebbe la simmetria con il nuovo profilo politico dell’Europa.
Non si è aperta un’autostrada. Si prevedono sei mesi per capire quale sia la via imboccata e verso dove vada. Poi si aprirà l’ipotesi di un bivio divaricatissimo. Evaporano certamente i dieci punti di Di Maio con un programma – per capirsi – con tre macro-temi, comunicativamente spiegabili. Argomento difficilissimo è quello di una finanziaria socialmente leggibile (per far reggere i consumi) e non penalizzante le imprese. Sarà necessario mettere in atto un investimento politico separato ma non conflittuale tra PD e M5S sulle elezioni regionali (con particolare obiettivo l’Emilia Romagna). E’ probabile un rapido tentativo di Conte di portare il M5S in un punto di moderata centralità nel Parlamento europeo. Va con urgenza portata a termine la riforma elettorale. A fine febbraio, si tireranno le conclusioni del semestre e dei conflitti interni dei partiti di governo verso il voto oppure verso il fine legislatura. In questo secondo caso tirando fuori dal cassetto veri programmi per tentare la battaglia finale. Quel destra-sinistra che tutti dicono superato, fuori moda, ideologico, eccetera. Ma che nella semplificazione storica della vita politica regge da circa duemilacinquecento anni. Oggi certamente destinato a un serio aggiornamento.
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