La Finestra sul Cortile

Libertà di espressione, contro l’alterazione della realtà

In apertura

  1. Le ragioni del “perché” di questa iniziativa, non casualmente svolta alla Società Umanitaria di Milano, saranno dette nelle previste aperture. Per le quali ringrazio subito l’assessore Lorenzo Lipparini, l’avvocato Simona Violae il senatore Gianfranco Spadaccia che prenderanno a istanti la parola.
  2. Svolgo un breve saluto e riprendo poi la parola dopo per introdurre nel merito. I due spunti condivisi con la Direzione di Più Europa – che ringrazio per il pieno accordo a svolgere questa iniziativa – sono credo evidenti a tutti. La questione media/informazione/comunicazione e comunicazioni poggia su precise pre-condizioni che hanno nelle libertà di espressione un vincolo ineludibile per chi crede alla democrazia plurale e liberale. Ma il dibattito pubblico vede nella società e nei cittadini prevalere due polarizzazioni: o se ne parla al bar, genericamente e in termine di prodotto; o se si tratta di politiche e di processi si delega agli specialisti (spesso con loro posizione riguardata da interessi). Diventata la prima economia del mondo e quindi uno dei campi conflittuali più importanti del nostro tempo, il credere che molti dei problemi esistenti trovano soluzione per l’Italia nel suo appartenere in modo convinto e attivo in Europa induce a fare emergere la questione anche nel difficile e strattonato momento di una campagna elettorale. Ed eccoci a oggi.
  3. A chi è presente è stato distribuito, insieme al programma degli interventi, anche un breve articolo su come è nata l’idea di questo tema, originata da Partitodiazione un soggetto federato a Più Europa (e che mi esprime nella direzione nazionale stessa di Più Europa) che ha creato un cantiere di collegamento tra realtà che si richiamano alle storie del Partito d’Azione – culture politiche liberalsocialiste e liberaldemocratiche – attraverso associazioni, fondazioni, riviste e altre esperienze. Un soggetto che tiene in primo piano il tema delle libertà costituzionali e delle battaglie per la democrazia liberale, ovvero per la democrazia dei contrappesi. La lettura di quel breve testo, mi risparmia di dire di più.
  4. Come si è capito ciò che una volta andava in modo semplificato sotto il nome di “libertà di stampa” ora, grazie alla dominante multi-tecnologica della comunicazione, viene propriamente declinato come le “libertà di espressione”, pur mantenendosi anche giuridicamente vive altre declinazioni tra cui libertà di parola, libertà di informazione, libertà di immagine, eccetera.
  5. Sono programmati tra poco interventi brevi ma intensi di persone esperte di molti aspetti già richiamati. Non tanto “militanti”, ma soprattutto tutti competenti-civili, tutti animati da visione civile della materia. Ci aiuteranno a focalizzare cosa sta succedendo anche fornendo argomenti per una politica orientata alle vie d’uscita.
  6. Per un soggetto politico le “vie d’uscita” non dovrebbero essere generiche, soprattutto retoriche, declamatorie. Ma idee per politiche nuove, per progetti normativi considerati giusti e utili a contrastare regole o applicazioni di regole che si considerano sbagliate o insufficienti.  Le conclusioni che trarrà alla fine Benedetto Della Vedova andranno in questo senso. Pochi giorni fa la sen. Emma Bonino, a margine di una conferenza europea, ha detto:

“Quando si diffonde la preoccupazione per la libertà di stampa – o per meglio dire – di espressione in un paese è brutto segno. Brutto segno per la democrazia. Si riproducono altri motivi di criticità. Il maggiore è rappresentato da un governo che non rispetta il diritto dei media di svolgere critica. Perché non rispetta in generale la democrazia dei contrappesi. Quello che è grave è concentrare dichiarazioni e misure tutte orientate a creare clima di delegittimazione per il lavoro giornalistico e per la libertà di espressione (che vale per la carta stampata e per la rete). In aggiunta esercitando un pesante ruolo di propagandismo che è un altro veleno e che fa parte di una brutta storia italiana. Dunque serve più Europa per tutelare anche questo inalienabile diritto”.

Sentiremo dopo le tre aperture la voce di Emma Bonino registrata ieri da RadioRadicale a Roma per la nostra occasione di oggi.

Nella parte di introduzione

  • L’assunto che ha fatto decidere per collocare un evento tematico nell’agenda di questo difficile ma ampio diritto di parola con i cittadini costituito da una campagna elettorale con una posta importante come è quella del nostro ruolo in Europa, è che
  • il rapporto tra comunicazioni e democrazia si è infragilito;
  • il rapporto tra comunicazioni e interessi ha perso per strada la portata di servire soprattutto al senso competitivo del Paese e quindi a interessi soprattutto generali;
  • il rapporto tra comunicazioni  e società ha visto crescere – è vero –  una potenzialità di ampliamento della diffusione della conoscenza ma al tempo stesso ha introdotto componenti di disorientamento, di allargamento di analfabetismo funzionale, di aggressione ai diritti di privacy, di confusione tra vero e falso, di dequalificazione del prodotto informativo medio, di ulteriore compressione del mercato dell’interpretazione delle notizie.

Insomma uno sviluppo che ci vede meno liberi, meno produttivi, meno qualitativi.

E che apre interrogativi sul rapporto tra comunicazioni e politica che in questo ultimo anno ha assunto in Italia livelli di guardia.

Questo intreccio rende possibili molti punti di vista anche trasversali. Cominceremo con una domanda apparentemente innocente “Che aria tira?”. La risposta è affidata a Ernesto Auci, giornalista economico e già direttore del Sole 24 ore la cui larga esperienza toglierà probabilmente qualche innocenza a questa domanda.

  • Certamente c’è un tema dell’Europa di riuscire ad armonizzare le politiche competitive globali e al tempo stesso di non far divaricare i contesti di libertà e di coercizione.

E parimenti c’è un doppio problema per l’Italia:

  • la difficoltà di essere nel gruppo di testa di questa dominante dell’ economia internazionale;
  • ma anche il parallelo tema  di non essere – come altri paesi europei – ai livelli alti dei rating sulla “libertà di stampa”.

Eravamo pochi anni fa ancora al 77° posto nella classifica di  Freedom House, poi – dopo i governi Berlusconi, presi di mira per il conflitto di interessi – abbiamo riguadagnato posizioni, restando tuttavia con problemi causati soprattutto dai territori a marginale controllo dello Stato e a forte influenze delinquenziale, fino ad arrivare al 43° posto. 

 Ora vedremo gli sviluppi. L’istituto fondato negli Stati Uniti da Eleanor Roosevelt è attento a tutto: norme, applicazioni, fatti giudiziari, contesto politico-legislativo.

Non so come reagirà prossimamente quando nell’inventario italiano si troveranno documenti come questo che sto per riferire. La fonte non è un italiano qualunque. E’ il capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato all’Unione dei Cronisti Italiani pochi giorni fa a congresso: Anche in Italia si verifica un alto numero di intimidazioni e atti ostili nei confronti dei giornalisti che esercitano la loro fondamentale funzione. Le istituzioni della Repubblica e la società civile hanno il dovere di sostenerli e non lasciarli soli” .

Anche qui, il contesto ha mille sfumature di grigio, ovvero ha molteplici ragioni di disagio. Sentiremo punti di vista molto qualificati, come Marta Boneschi e  Carmen Lasorella, su aspetti anche diversi del tema.

  • Il quadro globale è emerso chiaro nei giorni scorsi, il 3 maggio “Giornata mondiale per la libertà di stampa”con la presentazione dei dati di “Reporter senza frontiere” (17° Rapporto). “Giornalisti minacciati, rapiti, aggrediti e infine uccisi. Una violenza senza precedenti che vede i giornalisti presi di mira deliberatamente in tutto il mondo da gruppi criminali e spesso dalle stesse Istituzioni governative. La democrazia è tale anche perché ai cittadini è garantito un accesso all’informazione trasparente, sicuro ed affidabile”.

Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha detto al riguardo:

Da molti anni, la Giornata mondiale della libertà di stampa è un’occasione per riflettere sullo stato della libertà di stampa e promuovere un giornalismo libero, pluralista e sicuro. I problemi sono pertanto ben noti, come lo sono anche le norme e le soluzioni concrete a disposizione delle autorità pubbliche per aumentare la sicurezza e la libertà dei giornalisti, Invertire la tendenza attuale non è una questione di mezzi, ma di volontà politica. Gli Stati membri dovrebbero rispettare appieno le norme che hanno sottoscritto“.

Nel rapporto citato il passaggio sull’Italia non è solo genericamente sulla condizione di classifica. Individua anche un clima. E’ scritto:

Le grandi città, tra cui Roma, e le terre del Mezzogiorno (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) continuano ad essere territori sempre più difficili e pericolosi per i giornalisti. Non solo i gruppi criminali, però, sono una minaccia per il giornalista, spesso anche le forze dell’ordine non facilitano il lavoro del reporter, anzi lo ostacolano, con minacce e perquisizioni, che arrivano fino alla confisca di materiale, strumenti e documenti di lavoro. Spesso anche i politici al Governo non mancano di rivolgersi alla stampa con toni violenti, se non proprio minacciosi, con la revoca della scorta, il taglio dei finanziamenti pubblici alle testate e la continua delegittimazione della professione”.

In questa Europa il tema media informazione comunicazioni presenta questa volèe, ma ne presenta anche molte altre rispetto alle dinamiche di impresa, agli aspetti concorrenziali globali, alla qualità oggi del dibattito pubblico in cui sono iscritte anche le criticità comunicative dell’Europa stessa.

Non ci sarà spazio per tutto. Ma intanto grazie a Marco Incerti, a lungo professionista e ricercatore su questi temi a Bruxelles oggi a capo della Comunicazione dell’Istituto europeo di Firenze.

  1. Il mio compito – che vorrei assumere in tempi rapidi – è quello di tematizzare sia pure in modo sintetico questo percorso: dai perché ai come, che cercherò di ricondurre a pochi essenziali punti. Inutile pensare di essere esaustivi. Per questo c’è un panel di discussione che consentirà di mettere in rilievo argomenti e punti di vista che completano bene il dossier.
  2. Il punto – teorico e giuridico – acquisito da un paese come l’Italia in materia di libertà sostanziali (di parola, di espressione, di informazione), come per tutte le libertà condizionate da regole anche se acquisito non va dato per scontato.

Detta in grande sintesi – come per molti problemi italiani – la dicotomia che genera finta tranquillità è che nel rapporto tra libertà e diritti sanciti la situazione in Italia sia piuttosto buona (ho in mano il massimario relativo a venti ambiti di diritti sanciti, redatto da tre valenti giuristi) ma nelle valutazioni internazionali tra quei diritti sanciti e le condizioni applicate e rispettate il rapporto interno ai paesi fondatori dell’Europa ci vede ultimi in classifica.

  1. Quando si dice non dare il tema per scontato ci si riferisce al ruolo dei sistemi educativi e al controllo sociale e professionale attorno alla manutenzione del dibattito pubblico.

Ed è proprio la modesta qualità del dibattito pubblico in materia di media e comunicazione a impensierire e a dover responsabilizzare la politica. Nel sistema scuola e università lo spazio criticvo-interpretativo non è molto sollecitato. Il sistema imprenditoriale spende in eventi più di lobbying che di partecipazione e alfabetizzazione. Le istituzioni non hanno scelto questo campo come strategico per una nuova cultura collettiva dell’innovazione.

  1. Ecco perché, insomma, alcune aree di conflitto hanno, per noi, vie di soluzione solo in Europa. Un’Europa che dalla “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” ai trattati costitutivi alla Carta di Nizza su questa materia ha un quadro giuridico compiuto e ha dimostrato anche di tenere in priorità le politiche di monitoraggio e di prevenzione dei pericoli.

Anche su questo argomento ‘opinione di Marco Incerti sarà preziosa.

  1. Ci sono poi specificità italiane che riguardano due partite distinte:
  2. Quelle che sono attribuibili a criticità provocate dall’attuale cattivo governo.
  3. Quelle che fanno parte dei ritardi accumulati dall’Italia da molto più tempo

Il ruolo di governo che svolge competenze per orientare politiche nel campo delle comunicazioni è diventato policentrico. Dunque – tra Presidenza del Consiglio, MISE, MEF, Autorità, eccetera – possono anche ingenerarsi contraddizioni. Ma in questo campo si legge invece una certa linearità. 

Poche iniziative di riforma e adeguamento strutturale, molti tweet apodittici dove emerge il fastidio per la critica e una ideologica idea di supremazia della rete e della disintermediazione. La maratona degli stati generali dell’editoria non è animata da alcuna strategia. Finora ha partorito solo la chiusura di Radio Radicale con pretestuosità e senza bilancio qualitativo di questa esperienza. Il tutto condito dalla stravagante idea del sottosegretario Vito Crimi che aprendo gli stati generali dell’editoria ha detto: ““Dobbiamo individuare quali meccanismi implementare per ristabilire la “reputazione, la credibilità e l’autorevolezza del giornalismo”.

Incredibile. Il governo – sottosegretario Crimi – deve trovare il modo di rendere il giornalismo reputato, credibile e autorevole????

L’ing. Paolo Vigevano – che fu all’origine dell’istruttoria per promuovere le determinazioni normative a favore del progetto di Radio Radicale è qui – e gli sono molto grato per questo – per ribadire anche da questo convegno alcuni argomenti. Svolgerà il suo intervento dopo la videoregistrazione di Emma Bonino in apertura dei contributi.

  1. Circa i  ritardi accumulati dall’Italia da molto più tempo, essi incidono su tutti i fronti:
  2. quello dell’editoria tradizionale segnato da progressiva crisi di lettura e  di utenza;
  3. quello di un sistema radiotelevisivo che a furia di leggi separate (per interesse conservativo dei soggetti in campo) ha perso in larga parte la battaglia della cross-medialità;
  4. quello delle telecomunicazioni in cui da produttori siamo diventati sostanzialmente consumatori.

Insomma un paese inventore, brevettatore, innovatore e produttore rischia ormai la trasformazione genetica che riguarda un paese prevalentemente consumatore, dipendente, a basso profilo tecnologico-scientifico, con una dimensione etica (nodo centrale della questione delle libertà di parola e di espressione) che non a caso ci ha visto in bassa classifica internazionale rispetto a molti parametri.

C’è oggi una geopolitica della trasformazione digitale del sistema delle comunicazioni in cui ogni paese europeo – ove l’Europa non decidesse con forza una politica nel settore – è condannato a subire e non ad agire.

Raffaele Barberio, dirige un brillante e coraggioso giornale on line su comunicazioni e innovazione, Key 4Biz, e ci aiuterà molto a mettere in rilievo le sfide perse e quelle tentabili.

  • E ancora vi è il nostro sistema televisivo uscito un bel giorno dal pedagogismo – di qualità certo, ma monoculturale e senza contradditorio – per costruire una pista pubblica assediata dai partiti e una concentrazione privata diventata essa stessa, malgrado i suoi contenuti commerciali, un forte sostituto della fragilità del partito di riferimento, quello di Berlusconi. Da molti anni l’Italia è registrata come anomalia.
  1. E’ importante includere nel panorama dei nostri temi la questione di cosa si intende oggi per alterazione della realtà, sia da parte del potere economico che da parte del potere politico, fino a farci scoprire un nuovo perimetro del concetto stesso di propaganda che credevamo non avesse altri segreti dopo le prove immense che ha dato nel corso del ‘900.

Da quando il governo americano ha messo in campo una delle più potenti campagne istituzionali dell’età contemporanea per convincere – con manipolazioni e falsità tecnico-scientifiche i dati e le previsioni –  i cittadini e il Congresso a non ratificare l’accordo di Kioto, gli studiosi comunicazione hanno avuto a disposizione un formidabile caso per non associare più alla parola “propaganda” solo i regimi totalitari del ‘900 ma anche le democrazie dell’Occidente. 

  1. C’ poi una ultima considerazione da fare sulle carte in regola della politica – questa è una sede di dialogo promossa da un soggetto in cui agiscono anime che hanno storie lunghe, anche lunghissime nella cultura del riformismo democratico italiano e nella battaglia per i diritti dei cittadini  – che intende stare appunto con le carte in regola sul banco dell’accusa e non su quello degli accusati in materi della manutenzione delle libertà di espressione e di contrasto alle alterazioni della realtà.

Questo governo da un lato propone liti (finora un teatro che manipola la chiarezza di campo tra governo e opposizione, qui le due parti vengono riassunte per ottenere piena occupazione mediatica dalle stesse componenti di governo), dall’altra chiede a tutti di limitare i giudizi al terreno definito dal “contratto di governo”, in cui questa materia è mal definita e ha finora fatto emergere più fastidiosità (“i giornaloni su cui scrivono i professoroni”) che analisi.

Infatti fuori da questi paletti c’è una prateria di politiche pubbliche nemmeno tentate dal governo in carica, perché l’energia prevalente nel settore è collocate nell’istanza propagandistica che muove appunto si soggetti al governo. E la propaganda è una malattia storica dell’approccio alla comunicazione, che sta impedendo alle istituzioni (anche per scarso coraggio degli apparati) di svolgere il loro ruolo senza subire questo intreccio tra ideologia e convenienze elettorali.

Inutile dire che in questo quadro la nostra preoccupazione per la ricomposizione imminente degli organi di garanzia e controllo (quali sono le Autorità per le comunicazioni e per la privacy) è alta.

Ma su questo Benedetto Della Vedova avrà da fare considerazioni che sono parte di una linea e di un progetto nettamente alternativo al quadro politico che si è imposto in Italia.

Le conclusioni di Benedetto Della Vedova
In apertura: da sinistra Gianfranco Spadaccia, Simona Viola, Stefano Rolando, Lorenzo Lipparini

La videoregistrazione integrale della Conferenza (conclusa da Benedetto Della Vedova e con dieci contributi svolti) è stata trasmessa in diretta da Radio Radicale ed è accessibile al link:
https://www.radioradicale.it/scheda/574273/il-proprio-pensiero-con-la-parola-lo-scritto-e-ogni-altro-mezzo-conferenza-sulle

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Stefano Rolando

Stefano Rolando è nato a Milano nel 1948, dove si è laureato in Scienze Politiche e specializzato alla Scuola di direzione aziendale della Bocconi. Tra vita e lavoro si è da sempre articolato tra Milano e Roma. E' professore universitario, di ruolo dal 2001 all’Università IULM di Milano dopo essere stato dirigente alla Rai e all'Olivetti; direttore generale dell'Istituto Luce, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio Regionale della Lombardia. Insegna Comunicazione pubblica e politica e Public Branding. Ha scritto molti libri sia su media e comunicazione che di storia, politica e questioni identitarie. Da giovanissimo è stato segretario dei giovani repubblicani a Milano, poi ha partecipato al nuovo corso socialista tra anni settanta e ottanta. Poi a lungo non appartenente. Più di recente ha lavorato sul civismo progressista (Milano e Lombardia) e su un progetto politico post-azionista in relazione al quale è parte della direzione nazionale di Più Europa.

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