Brava gente

Nessuno scese dall’automobile: era Giuseppe Conte

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel pomeriggio del 3 giugno scorso, ha pronunciato il tanto atteso discorso agli italiani, trasmesso in diretta da Rai2 affinchè tutto il popolo italiano fosse raggiunto dal messaggio del Presidente.

Conte per più di mezz’ora davanti a 140 e passa giornalisti ha tessuto l’elogio di un governo che, come ha voluto sottolineare, è lui a presiedere e che, per un anno ha fatto tante tante buone cose per gli italiani. E tante tantissime altre ne sta progettando. Da parte sua è disponibile a proseguire questa esperienza a favore del Paese, purchè Lega e Pentastellati smettano di litigare tra loro ed abbiano fiducia in lui.

Perchè la situazione economica sia sempre peggiore, perchè il deficit pubblico aumenti mentre scende la fiducia dei mercati finanziari non l’ha spiegato. Così come non è riuscito a far comprendere a chi lo ascoltava perchè le due forze di governo dovrebbero fidarsi ciecamente di lui, fino ad un anno fa completamente estraneo alla politica, mai eletto a nessuna carica pubblica, privo di qualunque esperienza di amministratore pubblica. Eppure rivendica continuamente i suoi poteri di Presidente del Consiglio, in base all’art. 95 della Costituzione, dimenticando che il Presidente art. 49 stabilisce che concorrere a determinare l’indirizzo politico spetta alle forze politiche e non al Presidente del Consiglio e che egli trae i suoi poteri dal voto di un Parlamento che quelle stesse forze concorrono ad eleggere.

Il Prof. Conte ritiene forse che per formare un governo sia sufficiente giurare fedeltà alle istituzioni davanti al Presidente della Repubblica: non è così. Svolgere quelle funzioni è difficile, molto difficile come l’esperienza repubblicana ha dimostrato: parecchi sono stati in passato i presidenti cavalieri del nulla che hanno preceduto Conte. Giunti a Palazzo Chigi senza sapere esattamente conto perchè. Basterebbe la breve esperienza (otto mesi, tra il 1987 ed il 1988) del democristiano Giuseppe Goria (quando si dice il nome!) che Ciriaco De Mita il potentissimo Segretario della DC proiettò a Presidente del Consiglio per tenergli caldo il posto e che non fece praticamente nulla se non disporre la riapertura della centrale di Montalto di Castro (paese in provincia di Viterbo, vicino Roma): fu un errore che accorciò i tempi del suo destino.

Giuseppe Conte

Fece un errore politico così come ha fatto il suo Giuseppe Conte, un professore indicato da un Movimento 5 Stelle come garante del contratto di Governo con la Lega, da essa accettato in quanto politicamente scolorito, privo di carisma e disponibile a rinunciare al ruolo politico sostanziale. Ora quello stesso personaggio rivendica una specifica rilevanza politica e chiede fiducia a chi gli ha conferito quel mandato: logico chi ne provochi quanto meno la insofferenza.

Facile la previsione: gli diranno di accomodarsi alla porta e lui uscirà dalla stanza tornando alle sue laute prebende. Possibile che sia l’unico a non saperlo? Forza Presidente: manca poco e tornerà al suo consueto lavoro. Il Popolo perderà il suo Avvocato ma pazienza: forse ne troverà uno migliore, uno che magari…

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Mario Pacelli

Mario Pacelli è docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Collabora con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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